La malga è un’azienda agricola ad indirizzo zootecnico, temporanea, in quanto attiva per un periodo limitato nel corso dell’anno, da 90 a 120 giorni circa. E’ costituita da un pascolo più o meno esteso, aree boschive e infrastrutture di servizio, intese come casara (in genere due frontali, la prima che funge da abitazione per il soggiorno del malghese con la sua famiglia ed i collaboratori che lavorano presso l’azienda, la seconda adibita alla produzione del formaggio), stalla, porcilaia, pozze d’alpeggio, recinzioni e chiudende, oltre, naturalmente, ad una mandria di animali.
I malghesi sono i custodi di un patrimonio di conoscenze che si tramanda di generazione in generazione fra persone che nutrono grande passione per il proprio lavoro e che contribuiscono a mantenere viva la montagna, con la sua cultura e le sue tradizioni.
Dal punto di vista tecnico la malga può essere considerata come un ecosistema complesso e viene intesa quale “unità fondiaria silvo pastorale di superficie superiore ai dieci ettari dotata di adeguate infrastrutture, costituita di pascolo, prato-pascolo e talvolta bosco, in cui sono ubicati ricoveri per il personale, per il bestiame, locali per la lavorazione del latte e per la conservazione del prodotto finito” (L.R. della Regione del Veneto 31/10/1980, n. 88) alla quale è stato di recente riconosciuto il valore e l’importanza della multifunzionalità legata non solo al processo produttivo ma anche alla preservazione dell’ambiente e del paesaggio, al potenziamento del turismo rurale e della valorizzazione socio-culturale.
Gran parte del territorio dell’Altopiano dei Sette Comuni e la quasi totalità delle strutture e delle superfici a pascolo sono di proprietà collettiva degli aventi diritto di Uso Civico, ovvero dei cittadini originari dell’Altopiano e di coloro che scelgono di risiedervi stabilmente, e sono amministrate dai Comuni (o Consorzi)
con un apposito “Regolamento per la disciplina degli Usi Civici” e dalle norme stabilite dal “Piano decennale tecnico-economico dei beni silvo-pastorali”. Le malghe sono quindi periodicamente date in concessione ai malghesi “concessionari”, aggiudicatari a seguito di asta pubblica.
L’usanza di gestire il territorio attraverso la collettività nasce con la fondazione della Spettabile Reggenza dei Sette Comuni (o Federazione dei Sette Comuni), che ne amministrava il patrimonio. Successivamente, dopo la soppressione della Reggenza nel 1807, i beni furono prima attribuiti allo Stato e poi, sotto il dominio austriaco (1815), furono restituiti agli antichi proprietari, anche se gestiti dal Regno Lombardo-Veneto. Nel 1861, i beni tornarono nuovamente alle amministrazioni locali. Nel 1926 i Comuni si accordarono per una spartizione del patrimonio precedentemente gestito congiuntamente.
Di conseguenza, tutta la parte settentrionale dell’Altopiano ricade ora nel censuario del Comune di Asiago e le varie zone vengono gestite dagli Enti locali che rappresentano i proprietari, ovvero gli aventi diritto di tutti i sette antichi Comuni. Per tale motivo per ciascuno dei Comuni si distingue il Vecchio Patrimonio (ossia quello originario del Comune) dal Nuovo Patrimonio (ossia quello aggiuntosi a seguito della suddetta spartizione). Non deve pertanto stupire che, in qualche caso, le malghe appartenenti al Nuovo Patrimonio si trovino anche molto lontano dai confini amministrativi dell’Ente competente.
Ai sensi e per gli effetti della Legge 16/06/1927 n. 1766, tutto il territorio di proprietà collettiva rimane inalienabile, indivisibile e vincolato in perpetuo alla sua antica destinazione ed appartiene in piena proprietà alla collettività.
La malga è un’azienda agricola ad indirizzo zootecnico, temporanea, in quanto attiva per un periodo limitato nel corso dell’anno, da 90 a 120 giorni circa. E’ costituita da un pascolo più o meno esteso, aree boschive e infrastrutture di servizio, intese come casara (in genere due frontali, la prima che funge da abitazione per il soggiorno del malghese con la sua famiglia ed i collaboratori che lavorano presso l’azienda, la seconda adibita alla produzione del formaggio), stalla, porcilaia, pozze d’alpeggio, recinzioni e chiudende, oltre, naturalmente, ad una mandria di animali.
I malghesi sono i custodi di un patrimonio di conoscenze che si tramanda di generazione in generazione fra persone che nutrono grande passione per il proprio lavoro e che contribuiscono a mantenere viva la montagna, con la sua cultura e le sue tradizioni.
Dal punto di vista tecnico la malga può essere considerata come un ecosistema complesso e viene intesa quale “unità fondiaria silvo pastorale di superficie superiore ai dieci ettari dotata di adeguate infrastrutture, costituita di pascolo, prato-pascolo e talvolta bosco, in cui sono ubicati ricoveri per il personale, per il bestiame, locali per la lavorazione del latte e per la conservazione del prodotto finito” (L.R. della Regione del Veneto 31/10/1980, n. 88) alla quale è stato di recente riconosciuto il valore e l’importanza della multifunzionalità legata non solo al processo produttivo ma anche alla preservazione dell’ambiente e del paesaggio, al potenziamento del turismo rurale e della valorizzazione socio-culturale.
Gran parte del territorio dell’Altopiano dei Sette Comuni e la quasi totalità delle strutture e delle superfici a pascolo sono di proprietà collettiva degli aventi diritto di Uso Civico, ovvero dei cittadini originari dell’Altopiano e di coloro che scelgono di risiedervi stabilmente, e sono amministrate dai Comuni (o Consorzi) con un apposito “Regolamento per la disciplina degli Usi Civici” e dalle norme stabilite dal “Piano decennale tecnico-economico dei beni silvo-pastorali”. Le malghe sono quindi periodicamente date in concessione ai malghesi “concessionari”, aggiudicatari a seguito di asta pubblica.
L’usanza di gestire il territorio attraverso la collettività nasce con la fondazione della Spettabile Reggenza dei Sette Comuni (o Federazione dei Sette Comuni), che ne amministrava il patrimonio. Successivamente, dopo la soppressione della Reggenza nel 1807, i beni furono prima attribuiti allo Stato e poi, sotto il dominio austriaco (1815), furono restituiti agli antichi proprietari, anche se gestiti dal Regno Lombardo-Veneto. Nel 1861, i beni tornarono nuovamente alle amministrazioni locali. Nel 1926 i Comuni si accordarono per una spartizione del patrimonio precedentemente gestito congiuntamente.
Di conseguenza, tutta la parte settentrionale dell’Altopiano ricade ora nel censuario del Comune di Asiago e le varie zone vengono gestite dagli Enti locali che rappresentano i proprietari, ovvero gli aventi diritto di tutti i sette antichi Comuni. Per tale motivo per ciascuno dei Comuni si distingue il Vecchio Patrimonio (ossia quello originario del Comune) dal Nuovo Patrimonio (ossia quello aggiuntosi a seguito della suddetta spartizione). Non deve pertanto stupire che, in qualche caso, le malghe appartenenti al Nuovo Patrimonio si trovino anche molto lontano dai confini amministrativi dell’Ente competente.
Ai sensi e per gli effetti della Legge 16/06/1927 n. 1766, tutto il territorio di proprietà collettiva rimane inalienabile, indivisibile e vincolato in perpetuo alla sua antica destinazione ed appartiene in piena proprietà alla collettività.
L’attività di alpeggio è testimoniata per la prima volta in forma scritta da un atto di assegnazione di terre da destinare al pascolo in località Marcesina del Comune di Enego, datato 983; perciò da più di 10 secoli le praterie sono utilizzate con continuità dagli allevatori quali risorse foraggere per le greggi e le mandrie.
Già nel 1300 le praterie naturali non furono più sufficienti a sfamare il numero sempre maggiore di animali allevati e iniziò così su larga scala il disboscamento, al fine di ricavare nuove superfici da destinare al pascolo. Ciò provocò gravi dissesti idrogeologici nelle aree a forte pendenza, tanto da indurre le autorità del tempo (Consiglio dei Dieci della Repubblica Veneta), ad emanare norme a salvaguardia della foresta.
Nel 1404 l’Altopiano attuò il Patto di dedizione alla Repubblica Veneta, che fra gli altri privilegi concessi dalla Serenissima include anche il diritto di pensionatico, ovvero il diritto riservato agli allevatori dell’Altopiano di pascolare liberamente e a titolo gratuito le proprie greggi sui suoli della Pianura Veneta dall’autunno alla primavera inoltrata.
A seguito della caduta della Repubblica di Venezia nei primi anni del 1800, vi furono notevoli cambiamenti politici e con essi l’eliminazione del diritto di pensionatico. La diretta conseguenza fu la diffusione di un nuovo modo di allevare il bestiame, che da transumante divenne prevalentemente stanziale, con contestuale diminuzione delle pecore e aumento dell’allevamento del bovino da latte che, durante il periodo estivo, era e viene tuttora trasferito sui pascoli d’alta quota al fine di utilizzarne le risorse foraggere.
Nello stesso periodo il formaggio di “Asiago”, da pecorino (pegorìn), divenne il prodotto vaccino che oggi conosciamo. La creazione del formaggio Asiago d’Allevo, oggi conosciuto in tutto il mondo, è infatti una produzione antica, tramandata da generazione in generazione fino ai giorni nostri, che si effettua ancora secondo metodi tradizionali ed unici che gli conferiscono un sapore, un colore ed un gusto che racchiude le essenze del cotico erboso e dei fiori dei pascoli alpini.
Negli anni 1915-1918 la Prima Guerra Mondiale interessò direttamente l’Altopiano per tutti i 41 mesi della durata del conflitto e ne sconvolse il tessuto sociale ed economico. Oltre alla immane tragedia umana e alla distruzione dei paesi e delle contrade, vastissime superfici a pascolo, a prato e a bosco divennero veri e propri campi di battaglia e furono completamente devastate. Quasi tutte le casare e le stalle presenti, costruite impiegando il legno, vennero distrutte.
Furono necessari molti anni di lavoro per bonificare e recuperare i pascoli e ricostruire le casare, per le quali il legno venne sostituito dalla pietra e dalla più pratica lamiera.
Dagli anni ’70 ad oggi, grazie ad una crescente sensibilità in merito alla necessità di mantenere viva tale forma di agricoltura di montagna, sono stati realizzati molteplici interventi di ammodernamento delle strutture finalizzati ad accrescerne gli standard, soprattutto dal punto di vista igienico sanitario: separazione e adeguamento degli ambienti di lavorazione e produzione, dotazione di serbatoi per la raccolta dell’acqua piovana e di relativi impianti di trattamento, realizzazione di impianti elettrici e fotovoltaici, servizi igienici, sale per mungitura, lavaggio e deposito latte. Tali attività proseguono tuttora, con l’ulteriore ambizioso obiettivo di rendere le malghe idonee all’accoglienza turistica, nelle declinazioni consentite in base ad ogni specificifico contesto strutturale ed ambientale.
Il territorio dell’Altopiano è ben delimitato a nord e ad est dalla Valsugana, ad ovest dalla Val d’Astico e infine a sud dalla pianura dell’Alto Vicentino, verso la quale digrada con una lunga serie di rilievi collinari. Dal punto di vista geologico le rocce che compongono l’Altopiano hanno generalmente origine sedimentaria, essendosi formate sul fondo marino per accumulo di detriti e sedimenti organici, durante il periodo geologico del Triassico e, in misura minore, nel Giurassico e nel Cretacico. Le formazioni rocciose di cui è costituito il sottosuolo sono prevalentemente la Dolomia Principale, con uno spessore di circa 500-600 m, ed i soprastanti Calcari Grigi, Rosso Ammonitico e Biancone. La Dolomia Principale, pur essendo una formazione precedente e sottostante alle altre sopra citate, costituisce le cime più elevate, a testimonianza del sollevamento a “piega di ginocchio” dell’Altopiano. Essendo quindi il suolo calcareo, sono presenti abbondanti forme di erosione, in particolare sugli strati affioranti di Rosso Ammonitico (le note città di roccia di Monte Fior e Monte Corno) o di Calcari Grigi (labirinto dei Castelloni di San Marco o di Monte Fiara); sono inoltre assai numerose le fessurazioni che danno origine ad un vasto complesso carsico sia di superficie (doline, valli secche, campi solcati) che sotterraneo (grotte, voragini, cavità e inghiottitoi). L’esteso carsismo condiziona notevolmente l’attività d’alpeggio, rendendo necessaria, fin da tempi remoti, la predisposizione artificiale di pozze per l’abbeveraggio degli animali per sopperire alla mancanza di acque superficiali. Le numerose pozze d’alpeggio sono state create scavando e impermeabilizzando, generalmente con materiali argillosi-limosi, piccole conche di superficie limitata ed altezze di circa 1-1,5 m, riempite poi con acqua piovana qui condotta dai pendii circostanti attraverso piccoli rigagnoli. Tali ambienti umidi ospitano spesso una flora ed una fauna particolarissime per l’incredibile capacità di adattamento alle notevoli escursioni termiche ed alla possibilità di prosciugamento. Il clima è di tipo temperato fresco – temperato freddo ed è caratterizzato da una elevata piovosità (circa 1500 mm annui) dovuta alla particolare situazione geografica, che pone l’Altopiano quale primo rilievo a ridosso della pianura vicentina e che provoca cospicue precipitazioni di tipo orografico. Il paesaggio vegetale è frutto, come in tutte le Alpi, di complesse attività geomorfologiche, climatiche e biologiche nelle quali l’uomo con le sue attività ha un ruolo di non poca importanza. Nel territorio in questione si va dalla fascia fitoclimatica del Fagetum, tipica dei pascoli delle quote più basse, alla fascia del Picetum, nella quale è localizzato il maggior numero di alpeggi, per arrivare infine all’Alpinetum, tipico delle praterie naturali di alta quota. Nell’Altopiano si possono quindi trovare diversi ambienti naturali, passando dal versante meridionale, posto a ridosso della pianura, ai boscosi rilievi che conducono alla conca centrale, distesa suggestiva di prati, fino ai rilievi settentrionali che si innalzano fino a superare i 2000 m di altitudine. Dalle quote più basse fino a quelle più elevate, si susseguono ovunque verdissimi boschi intervallati da pascoli, con rilievi dai profili dolci, mai troppo scoscesi, che si prestano perfettamente alla pratica dell’alpeggio; è infatti il pascolo, con le malghe e le relative pozze, l’elemento che più di ogni altro caratterizza il paesaggio. L’alternanza di pascoli, prati e boschi impreziosisce la varietà degli ambienti, ai quali corrisponde una grande ricchezza di specie vegetali ed animali. Per quanto riguarda la fauna, tra i mammiferi ci si può imbattere in esemplari di lepre, volpe, capriolo e cervo, del quale in autunno, verso sera e durante la notte, si possono udire i bramiti, richiamo d’amore della specie. Il camoscio predilige le quote più elevate, spingendosi spesso sui ripidi e poco frequentati versanti settentrionali dell’Altopiano. Le marmotte si trovano frequentemente in colonie nei pressi dei pascoli più alti, che ne rappresentano l’habitat perfetto. Negli ultimi anni si sono nuovamente diffusi i grandi carnivori, con una buona popolazione di lupi e con frequentazioni dell’orso. La forte diffusione del cinghiale, che per ricercare cibo solleva il cotico erboso ed il terreno sottostante, provoca invece forti danneggiamenti ai pascoli in cui la presenza dell’animale è più frequente. Tra gli uccelli, vivono nell’Altopiano l’aquila reale, il gheppio, la pernice bianca, il rondone alpino, l’allodola, lo spioncello, il prispolone, la rondine, la ballerina bianca, l’averla piccola, la poiana, il picchio, la coturnice. All’arrivo della primavera, nelle malghe più alte è facile sentire il canto d’amore del gallo forcello, mentre i boschi di conifere e latifoglie, ricchi di sottobosco e con ampie radure, costituiscono l’habitat ideale per il gallo cedrone ed il francolino di monte.
In autunno, i pascoli siti sulla sommità dei dossi erbosi costituiscono delle vie di passaggio privilegiate per gli uccelli migratori, tra cui lucherini, fringuelli, tordi, cesene.
Con il termine ‘pascolo’ si intende una superficie ricoperta di vegetazione erbacea che viene direttamente utilizzata dal bestiame. I pascoli sono un’antichissima risorsa che oggi sta riacquistando importanza per una serie di motivi che vanno dalla tutela del territorio alla conservazione della biodiversità, dal mantenimento della variabilità paesaggistica al miglioramento della qualità delle produzioni del comparto zootecnico. Si distinguono pascoli di origine primaria e pascoli di origine secondaria: questi ultimi sono stati creati mediante disboscamento, mentre i primi si trovano ad alta quota, laddove le condizioni ambientali non permettono la crescita della vegetazione arborea e cioè oltre il cosiddetto “limite dal bosco”. Il pascolo, quindi, è influenzato dalle condizioni ambientali, ma anche dall’attività dell’uomo e dalla gestione cui è soggetto; esso è quindi la risultante di un’interazione fra fattori ambientali ed antropici. I fattori ambientali (caratteristiche del clima e del suolo) determinano lo sviluppo di comunità vegetali con combinazioni floristiche tipiche ed in equilibrio con l’ambiente che la fitosociologia indica con il nome di ‘associazioni’. Esistono associazioni più o meno ricche per quanto riguarda il numero di specie: si va dalle 8-10 specie delle vegetazioni nitrofile in prossimità delle stalle, alle 60-70 di alcuni particolari pascoli. Le specie sono raggruppate in Famiglie e le più importanti per i pascoli sono le Graminaceae (o Poaceae), le Leguminosae (o Fabaceae), le Umbrellifere (o Apiaceae), le Compositae (o Asteraceae), le Cyperaceae e le Rosaceae. Per quanto riguarda i pascoli del territorio dell’Altopiano, abbiamo i Brometi, diffusi sui versanti di bassa quota esposti a sud e su terreno calcareo. Si tratta di un gruppo in cui rientrano numerose associazioni di ambienti più (xerobrometi) o meno secchi (mesobrometi), tutte comunque caratterizzate dalla presenza del Bromus erectus. Le malghe della zona centrale dell’Altopiano dispongono di pascoli molto produttivi, tipicamente i Lolio-Cinosureti ed i Festuco-Cinosureti, che si sviluppano in zone ben concimate e ad elevata piovosità, in cui troviamo, per quanto riguarda le Graminaceae, il Lolium perenne, la Festuca rubra, il Cynosurus cristatus, l’Agrostis tenuis e la Poa alpina; tra le Leguminose il Trifolium repens (trifoglio bianco) ed il Trifolium pratense (trifoglio violetto); inoltre è molto abbondante il Taraxacum officinale. A quote maggiori abbiamo i Nardeti, caratterizzati dall’abbondante presenza del Nardus stricta, una graminacea non appetita dal bestiame che forma estesi tappeti. Si tratta di pascoli caratterizzati dalla presenza di poche specie, come la Campanula barbara, l’Arnica montana, il Vaccinium myrtillus (mirtillo nero) e talvolta il rododendro. Sui ripidi pendii calcarei troviamo i Sesleriosempervireti (pascoli a Sesleria varia e Carex sempervirens) in cui spiccano la Gentiana kochiana, la Dryas octopetala ed in alcuni casi anche la Stella alpina (Leontopodium alpinum).
La giornata in malga inizia all’alba, con il cane del malghese che corre a comando a radunare le vacche che devono essere munte dopo aver passato la notte a pascolare e a riposarsi. Dopo aver radunato il bestiame, i malghesi conducono le vacche alla stalla, dove inizia la mungitura, operazione che terrà impegnate più persone per una o due ore a seconda del numero di capi monticati. Finita la mungitura, il latte viene depositato in una vasca refrigerata in attesa dell’autobotte del caseificio al quale il latte viene conferito oppure viene messo in una caliera in attesa di procedere con la trasformazione in formaggio. Dopo la pulizia dell’impianto di mungitura e della stalla, è finalmente il momento di una pausa per la colazione a base di latte, yogurt (in alcuni casi prodotto in loco), polenta abbrustolita, formaggio o salame. I pastori devono poi pensare all’alimentazione dei maiali presenti nella porcilaia, la cui presenza è fondamentale nelle malghe in cui avviene la caseificazione. I maiali vengono infatti alimentati con crusca, tritello, farina d’orzo o di mais e con il siero residuo della lavorazione del latte. A seguito della mungitura le vacche vengono indirizzate al pascolo. Il resto della mattinata viene impiegato dal malghese per tutti i lavori necessari ai fini della gestione ambientale e del mantenimento delle strutture: sfalcio delle specie infestanti (prima della fioritura), taglio della rinnovazione delle piante arboree e arbustive all’interno del pascolo, manutenzioni alle chiudende e alle pozze d’alpeggio. Nel frattempo, il casaro (esperto della caseificazione) inizia la lavorazione del latte per la produzione del formaggio e del burro, che lo impegna fino all’ora di pranzo. Dopo un riposino e un caffè, si riprende con le attività: il casaro cura il formaggio in magazzino e in salatoio, oltre a preparare la legna per la cucina. I malghesi escono per proseguire a lavorare sul pascolo e, nel tardo pomeriggio, con l’aiuto dei cani conducono verso la stalla le vacche per la seconda mungitura della giornata, proseguendo poi con le altre attività fino a sera. Segue la cena, quattro chiacchiere e poi a dormire, perché prima delle cinque suonerà di nuovo la sveglia.
Negli anni, anche la vita di malga, se pur molto impegnativa e con gli stessi ritmi di un tempo, in molte realtà è migliorata. Le amministrazioni comunali, in collaborazione con l’Unione Montana, sono continuamente impegnate ai fini dell’adeguamento igienico sanitario delle strutture delle casare, sia per rendere decorosa la vita in questi ambienti che per garantire un prodotto di malga sicuro e genuino ai turisti, sempre più interessati a queste realtà rurali e ai formaggi caratteristici ed unici di ogni singola malga.
I prodotti tipici che caratterizzano l’attività di alpeggio nelle nostre montagne sono il formaggio Asiago d’Allevo, che a seconda dell’età di maturazione si chiama Mezzano (4-8 mesi), Vecchio (8-12 mesi), Stravecchio (oltre i 12 mesi fino ai 24-36 mesi) e i formaggi freschi preferiti generalmente dalle famiglie con bambini. La tecnica di produzione dell’Allevo è la seguente. Il latte della mungitura del pomeriggio viene posto in apposita bacinella tonda collocata in luogo ventilato e fresco, di solito in una stanza rivolta a nord, dove rimane per tutta la notte. Il latte viene poi scremato con la spannarola e, assieme a quello munto al mattino, viene posto in una caldiera e riscaldato ad una temperatura che varia a seconda della stagione e della qualità, in genere intorno ai 36-37 gradi centigradi. Il latte viene continuamente mescolato con la batarela o rodela e, a temperatura raggiunta, si aggiunge il caglio. La coagulazione della caseina avviene in circa 20-30 minuti; la cagliata così ottenuta viene rotta con lo spino o la lira, riducendo il coagulo a grumi della grossezza di un chicco di frumento. La cottura avviene ad una temperatura finale di 46-47 gradi. La cagliata, dopo il riposo nel siero e il suo deposito sul fondo della caldiera, viene estratta con l’utilizzo di un telo di lino e posta in fascere di legno di abete. Le forme vengono lasciate sullo scagno a spurgare il siero per tutta la giornata e poi vengono portate nella stanza del salatoio dove rimangono una settimana, cosparse di sale grosso e rigirate due volte al giorno. La salatura viene eseguita a secco oppure ponendo le forme in salamoia. In questo periodo il formaggio spurga il siero, assorbe il sale e forma la crosta; dopo questo trattamento viene portato in magazzino. Qui, al buio e a temperatura costante, le forme vengono poste su assi di abete e girate sotto-sopra tutti i giorni. Dopo un mese viene fatta la prima pulitura e raschiatura, un po’ più tardi seguirà l’oliatura con olio. Il formaggio d’Allevo sarà pronto dopo sei mesi ma il massimo dei sapori e dei profumi sarà raggiunto dopo un anno o più. In alcune malghe si producono anche formaggi freschi e pressati. Viene quindi utilizzato il latte intero e perciò non scremato, con temperature di cottura della cagliata inferiori. Per i formaggi freschi la cagliata ottenuta viene rotta riducendo il coagulo a grumi della grossezza del chicco di mais o nocciola, a seconda della tipologia di formaggio che si vuole ottenere. Nel caso del pressato, le forme appena fuori dalla caldiera vengono pressate sotto torchio per spurgare il siero. E’ un formaggio dolce, che sapora ancora di latte, la cui maturazione richiede 20-40 giorni. Per un completo sfruttamento del siero, in alcune malghe si produce la ricotta, ossia un latticino ottenuto dalla flocculazione delle proteine che rimangono nel siero a seguito della lavorazione del latte. La ricotta è un prodotto fresco da consumarsi in fretta, ottima quando viene affumicata con la legna del pino mugo, per condire ottimi piatti di pasta o di gnocchi. Il saporito burro di malga si ottiene invece dalla panna, raccolta con la spannarola dal latte messo a riposo in appositi contenitori. Dopo essere stata inserita nella zangola, la panna viene agitata energicamente fino a che la materia grassa si separa dal latticello. Il burro viene poi lavato con acqua fresca in modo da asportare il più possibile il latticello, quindi compresso e messo in forme rettangolari da 0,5 o 1 kg. La sua tipica colorazione gialla è data dalla presenza dei betacaroteni che si trovano nei fiori e nell’erba.
Le malghe sono gestite secondo il Disciplinare Tecnico Economico per la gestione dei pascoli montani, così come previsto dalla Legge Forestale Regionale n. 52 del 13.09.1978. Tale disciplinare determina i criteri di utilizzazione del pascolo da parte del malghese. Le amministrazioni comunali, delegate alla gestione del patrimonio collettivo, ogni sei-dieci anni promuovono le gare per la concessione in uso temporaneo delle malghe, normalmente dai primi di giugno a fine settembre. Fino a qualche tempo fa, in fase di gara ogni allevatore interessato doveva far pervenire, in busta chiusa e previo versamento di una cauzione, la sua offerta espressa in litri di latte per U.B.A. (Unità Bovina Adulta) caricate nella malga. Il numero di U.B.A. per ogni malga è fissato dal “Piano di Riassetto Forestale” ed è normalmente chiamato “carico”. L’Unione Montana Spettabile Reggenza dei Sette Comuni ha modificato l’art. 2 del Disciplinare Tecnico Economico, precisando che “Il canone annuo minimo è stabilito dall’ente amministratore del bene collettivo, tenuto conto delle caratteristiche del pascolo e delle pozze, del carico, del periodo di monticazione, dello stato dei fabbricati e dei manufatti, delle attività fattibili in malga, della presenza di servizi, della comodità di accesso alla malga stessa, della localizzazione e, più in generale, del beneficio che l’esercizio dell’alpeggio può comportare in termini di conservazione e tutela ambientale”. Il carico di bestiame da attribuire ad ogni malga è sicuramente la scelta più importante per una corretta gestione dell’alpeggio e ad ogni malga corrisponde un carico ben determinato, derivante oltre che dalle caratteristiche del pascolo e dell’area stessa, anche dall’esperienza di tanti anni di monticazione. Il mantenimento dei pascoli si regge infatti sull’equilibrio tra quantità di erba prodotta e intensità del pascolamento, cioè la quantità di erba utilizzata direttamente dall’animale. Al mantenimento di questo equilibrio contribuisce in maniera determinante l’azione dei malghesi, attraverso l’esercizio del cosiddetto pascolamento condotto, con cui gli animali vengono indirizzati a pascolare in modo omogeneo tutte le superfici della malga, evitando così il rimboschimento di quelle più lontane, altrimenti trascurate dagli animali. La presenza di un malghese che si occupa costantemente della conduzione degli animali, nonché della pulizia del pascolo dalle infestanti, è una condizione importante per l’attuazione di tale metodo di pascolamento. In alternativa, la pratica del pascolamento libero, meno impegnativa sotto l’aspetto economico, non necessita della presenza costante del malghese, ma risulta anche meno efficace sotto l’aspetto dell’omogenea utilizzazione del pascolo. Infatti in questo caso non viene posto agli animali, spesso nutriti anche con alimenti extra-pascolo, alcun vincolo alla scelta delle superfici da pascolare, portando al sotto-pascolamento delle aree lontane dalla malga e poco apprezzate, che tendono così a rimboschirsi, diminuendo la superficie di pascolo utile. Oltre ad un carico corretto e alla pratica del pascolamento condotto, l’esperienza insegna che per avere un pascolo ben mantenuto servono poi un adeguato periodo di utilizzo in funzione dell’andamento stagionale, l’esercizio da parte del malghese di pratiche molto semplici ma indispensabili, quali il taglio delle specie infestanti prima della fioritura, il contenimento dell’avanzata del bosco, l’utilizzo totale del pascolo a seconda del grado di maturazione delle specie foraggere nelle diverse esposizioni, la corretta distribuzione delle deiezioni a fine alpeggio. Il carico può subire variazioni annuali provvisorie a causa di diversi fattori, tra cui ad esempio la riduzione della superficie del pascolo dovuta a presenza di cataste di legname derivanti da utilizzazioni boschive di lotti presenti nelle vicinanze, oltre ai danni al cotico erboso causati dallo spostamento del legname oppure dalla presenza di cinghiali. La presenza di alcune specie di animali selvatici ha infatti complicato negli ultimi anni la gestione delle malghe, in particolare i cinghiali ed i grandi predatori quali il lupo e l’orso. I cinghiali in numero sempre maggiore si riversano nei territori delle malghe devastando il terreno alla ricerca di cibo, con la conseguente necessità di ripristinare le superfici danneggiate per recuperarne la funzione zootecnica, per controllarne l’erosione superficiale e per salvaguardare il paesaggio. Anche i grandi predatori rappresentano un importante fattore di interferenza nello svolgimento delle tradizionali attività di alpeggio nelle malghe: mentre l’orso è associato ad apparizioni più sporadiche, la diffusione del lupo sembra consolidarsi nel corso degli anni, con predazioni che portano a diverse conseguenze:
- danni economici diretti e indiretti, quali la perdita economica dovuta alla morte degli animali, la ridotta produzione zootecnica dovuta alle condizioni di stress subite, l’atteggiamento più aggressivo dei capi alpeggiati nei confronti dei visitatori (soprattutto se in possesso di cane) e la ridotta disponibilità degli allevatori a condurre in malga altri animali, a causa del rischio di predazione;
- aspetto meno evidente ma fondamentale è la modifica delle modalità di pascolamento da parte degli animali, che sembrano infatti aver reagito spostandosi nelle vicinanze delle stalle, dove si sentono più protetti. Si verifica pertanto un aumento della densità di stazionamento (sia pascolamento che riposo), dell’utilizzazione dell’erba e della deposizione di feci; dall’altra parte, si verifica la sottoutilizzazione e il rischio di rimboschimento delle aree lontane.
- alta concentrazione di allevamenti di vacche da latte sia nell’Altopiano che nella vicina zona di pianura (alto padovano e vicentino orientale);
- malghe con infrastrutture in grado di fornire servizi adeguati alle esigenze attuali dell’allevamento; grazie ad interventi continui di adeguamento igienico sanitario agli stabili, ora in molte malghe è infatti possibile la trasformazione del latte e quindi la produzione casearia secondo le prescrizioni imposte dal sistema sanitario e in totale sicurezza;
- interessanti interventi economici di sostegno;
- valorizzazione commerciale ed economica dei prodotti di malga, favorita dall’appartenenza ad aree di produzione tipica di formaggi riconosciuti a livello internazionale;
- elevata frequentazione del territorio, facilitata da una estesa rete stradale di collegamento tra i centri abitati e le malghe.
Tra le fonti: La Via delle Malghe – Comunità Montane Spettabile Reggenza dei Sette Comuni e Dall’Astico al Brenta, a cura di Silvia Dalla Costa e Gianbattista Rigoni Stern.